[NFL] Addio Junior Seau

Una casa sull’oceano Pacifico, sangue, una pistola sul pavimento. Alle pareti, appesi i ricordi di 20 anni in NFL, di successi, con tre squadre, foto con amici e colleghi, con la famiglia.

Pochi elementi, ci rendiamo conto, ma provate a fare una classifica di quale giocatore pensate che possa essere in quella casa, senza vita, al buio. L’ultimo che vi verrà in mente è Junior Seau, linebacker da USC, natìo di San Diego e bandiera dei Chargers per tredici stagioni. Invece, quell’uomo è proprio lui, scomparso, probabilmente per suicidio, nelle scorse ore.

Colui che era stato paragonato a Lawrence Taylor nei suoi giorni nell’ateneo californiano, che invece poi, scelto alla 5 dai suoi Chargers, li guidò al SuperBowl da linebacker centrale, è morto stroncato da una vita che ultimamente si era fatta più opaca, dopo il divorzio nel 2002 ed il ritiro dallo sport giocato. Quello sport che al vicino liceo aveva dominato, primeggiando nel football, nel basket e nella corsa. Coccarde, premi, trofei che adornavano la camera del Samoano, nato Tiaina Baul Junior e vissuto per i primi anni della sua vita proprio nelle Samoa Americane, dove non parlava inglese e dove viveva in condizioni disagiate.

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Junior Seau of the USC Trojans

Il trasferimento nella città a sud degli Stati Uniti gli salvava la vita, gli permetteva di scalare le classifiche sportive individuali. Un fenomeno di prestanza, di grinta. USC gli dà il 55, non un numero qualsiasi, ma il numero di chi è destinato alla NFL, il numero di chi deve, e ripetiamo deve, splendere nel firmamento affollatissimo dell’università. Lui lo fa, dopo il primo anno passato ai box a causa dei voti scarsi, e si presenta al draft del 1990 come ovvia scelta al primo giro. I Cowboys lo vogliono, ma si devono arrendere a draftare un certo Emmit Smith una volta che i Chargers scelgono Seau prima di loro. E come questo, altri mille ricordi si accavallano in queste ore di lutto.

Quello di Eric Olsen, che incontrò Seau durante un allenamento con i ragazzi di una scuola e che il samoano fece innamorare del football dopo essersi fatto fermare dallo stesso Olsen in un 1 contro 1 che scatenò l’entusiasmo dei compagni di classe dell’attuale lineman dei Saints. Quello di Jim Harbaugh, che chiese la maglia 55 a Junior dopo la sua ultima partita professionistica, solamente per ricordarsi del fatto che si era ritirato giocando fianco a fianco con lui. Quello di chi vi scrive, che ricorda un documentario della NFL sul ruolo di Junior Seau nella comunità di San Diego, con i dipendenti del suo ristorante che scherzano con il capo ed un giovane Ladainian Tomlinson versione rookie sorridente quando il collega più anziano dice alla telecamera: “Ecco il futuro MVP!”.

E nella comunità di San Diego Seau era un idolo. Aveva un fondo per giovani in difficoltà, aveva vinto riconoscimenti alla sua generosità, aveva vari business, tra cui il ristorante di cui sopra. Una presenza, un amico per tutti, come dimostra la fila di persone disperate che da quando si è diffusa la notizia della sua scomparsa si è affollata davanti alla sua residenza. Una preghiera, un pianto, un pensiero per quello che era stato uno dei migliori linebacker di sempre, destinato alla Hall of Fame, classe 2015.

Junior Seau SB

L’ultima foto sua su questo sito è del Super Bowl di quattro anni fa, quando i suoi Patriots che l’avevano fatto uscire dal ritiro dopo solo tre giorni dall’annuncio, lo portarono al secondo grande ballo della carriera. Una foto con una cascata di coriandoli, quelli per festeggiare i Giants campioni del Mondo, che lo avvolgeva, la faccia imbronciata ma serena di chi ha dato tutto ma per un motivo o per l’altro non è riuscito ad avere un anello al dito.

E magari questo fosse rimasto l’unico problema di Junior Seau: aveva già tentato di farla finita gettandosi in un burrone con la macchina dopo aver litigato e forse aggredito la sua nuova compagna, ma il volo di 30 metri non gli aveva lasciato altro che qualche cicatrice. Questa volta neanche la provvidenza ha potuto salvarlo, il divorzio ed il distacco dai suoi figli paiono essere le ragioni del folle gesto, mentre i network si allontanano dalla verità cercandola in argomenti relativi al football come le commozioni cerebrali ed i danni collaterali a lungo termine, ormai tema ricorrente in offseason.

Era stato lo stesso l’anno scorso con Dave Duerson, stesse modalità e stessa denuncia ai danni dell’NFL per mancate misure riguardante commozioni cerebrali che potrebbero portare a stati di depressione. Ma forse l’unico che si avvicina al quadro generale è il prete che segue i San Diego Chargers: “Non importa quanto tu sia invulnerabile sul campo, o quanto sia una persona di rilievo all’interno della tua città, o quanto faccia trasparire allegria, alla fine se non hai nessuno nel momento del bisogno ti troverai in una brutta situazione”.

E Junior Seau sul campo era davvero invulnerabile. Migliore linebacker degli anni novanta, 12 volte al Pro Bowl, mai molte assenze durante una stagione. Sempre grintoso, sempre in piedi, sempre sorridente al di fuori del campo. Sembrava essere grato alla vita, nella visione forse appannata che abbiamo da qua dei giocatori NFL, ci sembrava che fosse il meno incline al fatale gesto, il meno probabile. Ci sbagliavamo, e non c’è bisogno di essere a San Diego per essere sinceramente scioccati.

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Dario Michielini

Segue il football dagli anni 90, da quando era alle elementari. Poi ne ha scritto e parlato su molti mezzi. Non lo direste mai! "La vita è la brutta copia di una bella partita di football"

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