[NFL] Peyton Manning in 7 capitoli

Capitolo 1 – L’infortunio

Pochi giorni prima della stagione 2011, nell’estate dello stesso anno, emerge che Peyton Manning, 4 volte MVP della lega e considerato uno dei migliori quarterback di sempre, ha un fastidio al collo, e che dovrà sottoporsi ad un intervento chirurgico. I giornalisti sono comunque ottimisti:il kick off è ancora lontano, e sembra un intervento di routine. Uscito dalla sala operatoria, Manning ha ancora fastidio, non riesce a lanciare, a sviluppare potenza con quel braccio che tanti successi gli aveva regalato. Una seconda operazione, la conferma che dopo più di 200 partenze consecutive osserverà i suoi Colts dalla sideline, un terzo intervento e la sicurezza che il 2011 non vedrà la sua stella brillare in campo. Intanto, i rumors sulla sua condizione si rincorrono. Si presenta una nuova figura, quella del “personale vicino alla situazione”, che un giorno dice che il giocatore si ritirerà, che il giorno dopo lo nega, che quello dopo ancora torna pessimista. Un altalena di voci da parenti, amici, colleghi, che ci accompagnerà in tutta la storia.
La stagione 2011 degli Indianapolis Colts è un incubo. 2-14, secondarie penose, cap pieno, Curtis Painter ridicolo nel tentativo buffo di non far rimpiangere il più quotato collega. Ma prima scelta assoluta: da Stanford, Andrew Luck annuncia che si iscriverà al draft.
Capitolo 2 – Suck for Luck o Wait for Peyton
LuckNon sembrano esserci dubbi sulla classe del prodotto dei Cardinal. Andrew Luck è il nuovo Peyton Manning, nessuno è convinto altrimenti. Nella testa del management in bianco e blu non c’è alcun dubbio su cosa fare. Non ha senso tenere un 36enne infortunato, a cui devi 28 milioni di dollari, per non draftare il suo omologo 15 anni più giovane. La data fatidica per la decisione è l’8 marzo 2012, quando in condizioni normali Jim Irsay dovrebbe a Peyton Manning 28 milioni di dollari per assicurarsi i suoi servigi per la prossima stagione. L’owner parla costantemente col suo amico e dipendente, discutono del futuro di una franchigia che hanno rivitalizzato assieme, che senza l’uno o l’altro probabilmente non sarebbe più nemmeno in Indiana. Manning ha l’obbligo di aiutare il suo presidente, Irsay quello di rispettare l’unico motivo per cui ha avuto la squadra più vincente della decade scorsa. Arriva l’8 marzo, a mezzogiorno gli Indianapolis Colts chiamano a raccolta i giornalisti, il momento è arrivato per separarsi da un pezzo di storia.

Capitolo 3 – L’addio

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Quando Jim Irsay dice “Il numero 18 vi posso assicurare che non lo indosserà più nessuno” qualche lacrima fa capolino dai suoi occhi. Manning è dietro di lui, gli tocca la spalla in segno di conforto anche quando il proprietario dei Colts dice “Eravamo un ragazzo di 22 anni ed un proprietario di 38, e dovevamo rendere grande una franchigia”, a sottolineare quanto ‘Manning’ abbia voluto dire ‘Indianapolis’ in questi anni. Alle belle  parole gli fa eco proprio l’ex dipendente “E’ stato un privilegio essere il vostro quarterback” la città dell’Indiana risponderebbe in coro, se potesse, che il vero privilegio è stata l’opportunità di vederlo all’opera per 13 stagioni consecutive.

Erano ormai mesi che gli addetti ai lavori si sbizzarrivano con la possibile destinazione futura del regista in biancoblu. Arizona, Miami, Washington, Kansas City. C’è chi fa power ranking su chi è più vicino ai suoi servizi, nel marasma creato dalle condizioni di salute del collo dell’indiziato. C’è chi esclude un suo ritorno, chi lo caldeggia, chi è convinto che i prossimi 3 SuperBowl saranno suoi.

Capitolo 4 – Inseguimenti e videotape

Un po’ arcaico parlare di videotape nel 2012, ma nelle telenovele a volte succede di imbattersi in episodi nostalgici. Emerge un video di Manning che lancia a Duke, per smentire la voce che lo vorrebbe al 20% e non in grado di lanciare a sinistra. Sembra perfettamente sano, anche se ben poco si vede in una clip che sembra girata negli anni ’80, sfocata, col cameraman che inquadra tutto tranne il fulcro del supposto allenamento. Intanto la cerchia si allarga, comprende anche Denver, San Francisco e Tennessee.

Manning vola subito a Miami, città in cui possiede un appartamento, ma non per contrattare coi Dolphins. Gli elicotteri delle TV lo inseguono, lui, notoriamente schivo, tira una bella croce rossa sul logo dei delfini. Inizia quindi il vero tour. Prima fermata Phoenix, 8 ore, seconda Colorado, dove per altre 8 ore John Elway lo porta in giro per la struttura d’allenamento dei Broncos. Miami ci pensa ancora, manda Joe Philbin, nuovo head coach, a parlargli direttamente a Indianapolis, inutilmente. Washington si autoelimina tradando tre prime scelte per la due assoluta di quest’anno che significa Robert Griffin, Kansas City è esclusa un po’ inspiegabilmente dal lotto.
La visita a Tennessee ha però del grottesco, sembra un film dei fratelli Cohen. Il vecchio proprietario Bud Adams, ottantenne, chiama Peyton quando ormai in lizza rimangono solo Cardinals e Broncos, chiedendogli con voce disperata di firmare coi suoi. Il numero 18 va allora alla visita, o meglio viene prelevato dal jet della squadra a Duke dove si allena, portato in Tennessee dove vede la struttura dei Titans, parla col coaching staff e con il suddetto proprietario che continua ad implorarlo. Mangia italiano (ringraziamo il sito dei Titans per questo livello incredibile di dettaglio) e poi riceve niente di meno che la chiamata di Bill Hashlam, ex sindaco di Nashville ed ora governatore dello stato dei Volounteers; 50 tifosi dei quali sono radunati intorno alla recinzione del complesso sportivo, pronti ad esplodere alla vista del loro beniamino, che ricordiamo ha giocato in casacca arancio le sue partite collegiali. Questi alza il pollice, e la fantasia di quei 50 vola già ad una bacheca piena di trofei. Il giorno dopo Steve Hutchinson, miglior guardia dell’NFL ed amico personale di Manning, firma proprio coi Titans, che già avevano la migliore O-line della NFL. Sembra fatta.

Capitolo 5 – Il nuovo re è in città

C’è chi si compra per 30 minuti ESPN per dire che porta i suoi talenti a South Beach e chi su ESPN non vedi mai. Che una sera andò in calzini in sala stampa per venire incontro alla necessità dei reporter ospiti di chiudere i pezzi in tempo sulla costa opposta dello stato, che del bailamme che l’ha visto coinvolto non ha rivelato nulla. Le voci dei “personaggi vicini alla situazione” assumono così tinte ridicole, fino a spegnersi.
Il 19 marzo Manning si sveglia, chiama il suo agente e gli dice di contrattare con i Broncos. Il giorno dopo firma un quinquennale da 96 milioni di dollari, il contratto più alto nella storia. I Broncos si affrettano a cacciare Tim Tebow, che andrà ai Jets per qualche scelta di medio valore. Nessun antagonista, Elway dà le chiavi della sua fuoriserie a chi, nella leggenda dell’NFL, è uno dei suoi parigrado. A Denver il 4 volte MVP trova una delle migliori difese NFL, un allenatore che non gli pesta i piedi, un attacco sulle corse in grado di sorreggerlo ed un pubblico entusiasta. Un entourage da SuperBowl e molte speranze di tornare in post season, date le condizioni della AFC West. E tanto spazio salariale per migliorare ancora un team, già così, favorito in AFC con Patriots, Ravens e Texans.

Capitolo 6 – Il terremoto

Tim Tebow è solo una delle tante pedine che gravitano attorno alla firma poco fa descritta. Hutchinson, anch’egli già citato, è un’altra. Drew Stanton, che aveva appena firmato ai Jets per fare da backup a Mark Sanchez, un’altra. Lo stesso Sanchez. E cosa dire della Florida intera, sedotta dall’affare Manning e poi abbandonata pure da Matt Flynn e Tebow, con l’atleta di Dio che viene mandato a New York invece che nella natìa Jacksonville.
E’ un terremoto anche retroattivo, perchè Bud Adams sarebbe potuto andare incontro a guai seri qualora avesse davvero proposto a Manning un posto da dirigente a fine carriera, pratica assolutamente proibita. Ha lasciato Kansas City senza un grande playcaller, Arizona senza leadership, messa ovviamente in dubbio quella di Kevin Kolb. Alla fine, viene da dire che hanno fatto bene i Redskins a sparire dai primi giri di questa decade per arrivare a Griffin.
Almeno loro stanno ricostruendo davvero. Così come i Colts, anche assumendo che Luck esploda già dal primo anno, i livelli di competitività dell’era Manning sono lontani molti anni, vista la penuria di talento che hanno ora e l’età di alcuni degli accoliti del 18, ben pochi, rimasti alla base.
Con l’ascesa di Texans e Titans pronosticabile, il ferro di cavallo dovrà battersi per emergere, anche solo all’interno della sua division.

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Capitolo Finale – Una strana morte e un futuro incerto

Nelle parole di Jeff Saturday il rispetto per il suo ex capitano “Prima di tutti, ho chiamato Peyton per dirgli che non andavo ai Broncos. E’ stata la chiamata più difficile della mia vita.” Il nuovo centro dei Packers è uno dei pezzi mancanti del puzzle Manning. Prima di lui, Reggie Wayne aveva firmato con Indianapolis. Pierre Garçon un ridicolo contratto coi Redskins. Joseph Addai potrebbe invece raggiungere Jacob Tamme ed il 18 in Colorado. Incertezza sul destino di Dallas Clark, piuttosto inutile a Denver ora, Melvin Bullit e Gary Brackett, membri della difesa del Lucas Oil Stadium e rilasciati da Irsay al pari dell’oggetto di questo articolo.
Ed, a proposito di telefonate, quante ne ha dovute fare proprio Manning! Ha voluto ringraziare qualsiasi team abbia mostrato interesse nell’acquisire le sue prestazioni. Kansas City, Miami, Washington, Tennessee, San Francisco, forse anche Philadelphia, come emerso recentemente. “Sono Peyton Manning, signorina, mi passi il presidente”, utilizzando umiltà. Dice che se dovesse esserci la partita domenica, la giocherebbe. Non al 100% ma la giocherebbe, ci lascia sperare che realmente la NFL abbia ritrovato una sua grande star. Ma noi, finchè non lo vedremo con la palla in mano non ce la sentiremo di abboccare.
Durante la conferenza stampa di presentazione, molte parole sulla cultura della vittoria di Denver e su quanto Frank Tripucka (classe 1927) abbia spronato Manning a prendere il suo 18, ritirato dalla franchigia in arancio e blu. La sensazione che se le cose dovessero andare male sul campo la stella più lucente del football potrebbe vedere la sua brillantezza offuscata. Il suo desiderio di vincere altri Super Bowl. Ed anche se le carte in regola ci sono, per favore alla fine di questi 5 anni, o quando le condizioni fisiche peggioreranno, Peyton ritirati: è tutto troppo patinato, troppo perfetto, troppo dominante per vederlo finire in modo inglorioso, con un atleta anziano che insegue ancora la gloria.
Una fine certo non ingloriosa quella di Jim Driver (79 anni), fan dei Broncos, che con il suo necrologio ha raggiunto i famosi 15 minuti di celebrità: ha chiesto, esaudito, che sul suo ‘obituary’ fosse scritto “odiava Manning e se ne è voluto andare prima che l’accordo con i Broncos fosse stipulato”. Jim, hai fatto il giro del Mondo, te ne sei andato da mosca bianca, e ti sei risparmiato la pena di vedere il 18 con la casacca della tua adorata Denver. Hai uno spazietto nella leggenda di Peyton ed in quella della tua squadra. Siamo sicuri non lesinerai un sorriso da lassù quando chi disprezzi così tanto compilerà record positivi e porterà in alto i tuoi.

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Dario Michielini

Segue il football dagli anni 90, da quando era alle elementari. Poi ne ha scritto e parlato su molti mezzi. Non lo direste mai! "La vita è la brutta copia di una bella partita di football"

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